
Mario Michele Pascale
Lasciate che vada controcorrente. Talmente controcorrente da sorreggere, nel suo scoramento, nella sua tristezza ed amarezza, un esponente della lega nord; il ministro Maroni. A differenza di quel manichino della Standa, del suo collega agli esteri Franco Frattini, non ha molta grazia nel reagire alle umiliazioni e, di tanto in tanto, si risente. Ben altra la strategia del buon Frattini che ad ogni pugno sullo stomaco reagisce con un bel sorriso ed un cambio di cravatta. Peggio, probabilmente, ci sarebbe stato solo Bersani che, trattato dalla comunità internazionale come la cugina sfigata di Cenerentola, avrebbe finito la pazienza e risposto con una sonora … raccolta di firme. L’Italia è ai margini.
Ai margini dell’Europa, ai margini della Nato, ai margini dell’economia che conta e che si sviluppa, per non parlare della cultura e dell’innovazione. Provincia delle provincie, essa, nelle crisi internazionali degli ultimi anni, è stata sempre fanalino di coda e cagnolino ubbidiente, pronta a rispondere al fischio dei padroni inviando truppe in mezzo mondo. Esattamente come i servi che temono il bastone, il nostro paese ha ecceduto in zelo per ingraziarsi i padroni. Il risultato è stato a dir poco ridicolo. Abbiamo partecipato ad una guerra avviata per evitare di essere colpiti dalle famose armi chimiche di Saddam Hussein (Voi le avete viste? Io no!). Abbiamo largheggiato in stupende elargizioni di denaro per tenere a bada i migranti, prima all’Albania, che dietro lauto pagamento “difende” le nostre frontiere ad est, poi alla Libia di Gheddafi (pessimo investimento) che doveva tamponare il Mediterraneo ed evitare che le carovane dei disperati che traversavano il Sahara giungessero fino a noi. Gli albanesi sono stati onesti; hanno rispettato e rispettano il “contratto”. La Libia, invece, ha avuto la stessa parabola di un’azienda che ha preso un lauto appalto pubblico; appena ne ha avuto convenienza ha dichiarato fallimento, lasciando i cocci ai creditori.
Eppure che Gheddafi fosse “leggermente instabile” sul suo trono era una cosa largamente risaputa; solo noi siamo stati in grado di riceverlo e trattarlo come un sultano. Il ridicolo poi si tramuta in pianto di vergogna quando pensiamo alla versione che la leadership italiana ha dato di questi avvenimenti al paese. A sinistra si è propagandata la vecchia idea del corridoio balcanico, risalente all’età di Crispi, contemporaneamente facendo attenzione a rimanere ben proni all’alleato americano. A destra si è rivendicato (udite udite!) un ruolo di mediazione tra un Obama, che reputa Berlusconi inaffidabile, ed un Putin molto amichevole e disinvolto a parole, ma sostanzialmente sempre distante e guardingo. A farla breve, l’azione di Berlusconi in politica estera ha dato solo fastidio ai due grandi, più o meno come l’assidua presenza di una sensale di matrimoni non richiesta. L’unica cosa che la politica estera italiana ha guadagnato, negli ultimi anni, è stato un leader della repubblica ceca con il pisello al vento a villa Certosa. Quasi quasi ci sarebbe da rimpiangere Craxi quando, per intenderci, i carabinieri affrontarono a muso duro i marines durante il caso dell’Achille Lauro. Ma quelli erano altri tempi …
L’Italia è la cerniera tra l’Africa e l’Europa.
E’ abbastanza ovvio che le ondate migratorie provenienti dal continente africano ci investano.
Noi abbiamo il dovere dell’accoglienza, ma questo non autorizza i nostri soci europei a lasciarci soli. Invece siamo soli; certo la diplomazia è già al lavoro per ricucire lo strappo, saremo inondati da un mare di rassicurazioni, tutte molto filistee, ma le frontiere resteranno chiuse. I nostri fratelli dell’Unione Europea sono furbi. Che la patata bollente resti in Italia. A questo punto mi domando, semplicemente, cosa voglia dire Europa. Quando penso e vedo l’Unione Europea io vedo una moneta (l’euro) ed i suoi sacerdoti. Vedo nazioni che collassano perché non riescono a tenere il passo delle altre e vedo la cura che l’unione impone; una cura fatta di sacrifici, di controllo sul debito pubblico, una cura con enormi effetti collaterali in termini di occupazione e potere d’acquisto dei salari, già messi in crisi dalla esistenza stessa della moneta comune. Di chi è quindi l’Europa?
Dei cittadini o delle banche?
E’ più importante salvare il sistema creditizio o rilanciare l’occupazione?
Cosa conta davvero, l’economia, le cifre, le statistiche o la qualità della vita dei cittadini europei?
Dall’esterno, se guardiamo l’Unione, vediamo un’imponente macchina burocratica, che dà regole e che, generosamente, eroga contributi.
Questo potente meccanismo è però gestito da una casta sacerdotale di burocrati che ha riti e codici propri; dialoga solo con i suoi pari. Avete provato voi cittadini a capirci qualcosa sui finanziamenti dell’Unione? Come fa, ad esempio, un’associazione culturale a trarre beneficio da questa marea di denaro? Lasciate stare, è un circuito vizioso da cui i cittadini sono tagliati fuori. La domanda sorge spontanea. Di chi è l’Unione Europea? Dei cittadini o delle elites burocratiche?
Di chi fa cultura, istruzione, formazione, occupazione, di chi suda ogni giorno nella “economia reale” o di pochi burocrati specializzati “padroni” dei rapporti con Bruxelles e Strasburgo?
Oltre al livello di partecipazione dei cittadini, l’Europa non funziona neanche da un punto di vista politico. Dov’è il tanto decantato coordinamento in politica estera che, sul lungo periodo, avrebbe addirittura portato ad un esercito europeo? Dove sono le decisioni condivise, se paesi come l’Italia vengono trattati come parenti poveri? E i parenti realmente “poveri” come la Grecia, il Portogallo, i paesi baltici cosa sono in quest’ottica, se non semplice carne da macello? “Meglio soli che male accompagnati”, dice il ministro Maroni. Francamente non saprei dargli torto.
Quel che mi dispiace è che la ragion di stato lo farà “rinsavire” e ritornare ai soliti bizantinismi.
Ma quel che realmente importa è che il re è nudo. L’Unione Europea si è spogliata della sua aura di sogno e di progettualità, per evidenziare l’unica natura che nel tempo si è solidificata; l’interesse di parte e la burocrazia, che si mescola al profitto commerciale di pochi.
Io, come molti, sono cresciuto con il mito della comunità europea e con l’idea di esserne cittadino.
Mi ritrovo ad essere invece cittadino di una periferia senza alcuna dignità. Il nostro compito, allora, è quello di costruire un’Europa nuova, fatta di solidarietà, di servizi per i cittadini che abbiano come fine ultimo il miglioramento della qualità della vita di tutti. Un’Europa che noi possiamo realmente chiamare “casa” dove, dovunque ci troviamo, siamo padroni e non ospiti più o meno graditi.
Dove circolino le idee, le persone, le culture e non solo ed esclusivamente i biglietti da 10, 50 e cento euro. Un’Europa con una sola e coerente politica estera, frutto della solidarietà ed ispirata al rispetto dei diritti umani nel mondo e che ripudi quel groviglio di sentimenti post colonialisti, ammantati di fariseismo, che oggi pervadono l’azione dei paesi che contano. La sfida è aperta.
Ma bisogna portarla avanti con coraggio. Uno dei mali delle forze progressiste, in Italia e in Europa, è la sindrome “dell’acqua sporca”. Un antico adagio ci ripete che “Non si può gettare il bambino con tutta l’acqua sporca”. Questo per dirci che non possiamo liberarci di ciò che è negativo (l’acqua sporca) al prezzo di privarci di un grande risultato finale estremamente positivo (il bambino). Ma la saggezza popolare è bifronte; potrebbe darsi anche il caso che il bambino e l’acqua sporca mettano in pericolo la vita della madre e che vi sia la necessità di fare una scelta, per quanto dolorosa. Alle volte eliminare sia il bambino che l’acqua sporca potrebbe essere l’unica soluzione. Certo, il nostro lavoro deve andare in direzione di un’Europa nuova, ma non dobbiamo commettere l’errore di scambiare lo strumento con il fine ultimo. L’Europa nuova è positiva se è la casa dei cittadini. Fare “l’Europa nuova” per consegnarla solo nelle mani dei banchieri non è una cosa molto saggia. In questo caso noi non faremo l’Europa, ma daremmo la vita ad un mostro che ci divorerebbe. Alle brutte sarebbe bene ricordarsi che essere soli, può essere meglio che essere male accompagnati ..
Mario Michele Pascale